Sinossi
Figlio del suo tempo – il Cinquecento con la riforma luterana e la “Guerra dei contadini tedeschi” – e della sua terra, la Renania, Mathis Grünewald viene realmente scoperto alla fine dell’Ottocento. Acclamato come un precursore durante l’espressionismo tedesco, nella Germania nazista è considerato un fautore di “arte degenerata”. Ma finalmente nel dopoguerra si imporrà come uno dei più grandi pittori di tutti i tempi.
Mario Dal Bello ripercorre la vita e analizza le opere di questo artista per il quale linea e colore assumono un’importanza sostanziale, manifestando una sensibilità tardo‐gotica ed espressionista. Suggestivo atto espressivo e primordiale, nervosa talvolta fino all’eccesso, la linea fa raggrinzare, torcere o sfavillare corpi, panneggi e paesaggi, donando loro la stessa tensione delle linee dell’architettura tardo‐gotica. Il colore è espressionismo puro, diventa carne e sangue e imprime ai corpi fisicità e concretezza attraverso le quali Grünewald esprime la propria intima realtà visionaria rendendone prepotentemente partecipe l’osservatore. L’uso così espressivo della luce e del colore è emerso soprattutto dopo il restauro del Polittico di Isenheim, ampiamente descritto dall’autore in questo libro.
Lontano dall’accademismo e dalla rinascimentale perfezione dei corpi e delle proporzioni, l’arte di Grünewald – frutto di una religiosità appassionata che trova nel soggetto del Crocifisso‐Risorto l’immagine del dolore più crudo trasformato in luce – appare dunque emotiva e impulsiva, talvolta parossistica e frenetica. La peculiarità sottesa di tutte le sue opere è la capacità di declinare l’orrore, rendendolo reale e nel contempo visionario, e di attingere a una fantasia sconfinata capace di descrivere l’abisso più imperscrutabile e la luminosità più abbacinante, come nel suo indiscusso capolavoro conservato a Colmar.
Prefazione di Claudio Guerrieri.